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scostando i rami, quando le mani incerte aprono all altezza del viso un pertugio
sbilenco, eccolo apparire come una lunga galleria ombrosa che finisce, lontanissimo,
con un disco di luce.
Ma mentre spero e fantastico così, sbocco improvvisamente in una specie di
radura, che non è poi altro che un prato. Senza accorgermene, sono arrivato al confine
delle terre comunali, che avevo sempre creduto molto distante. Ecco alla mia destra,
tra mucchi di legna, nell ombra ronzante, la casetta del guardiano. Due paia di calze
sono ad asciugare sul davanzale della finestra. In passato, quando arrivavamo
all entrata del bosco, dicevamo sempre, indicando un puntino luminoso in fondo in
fondo all interminabile passaggio oscuro: «Laggiù è la casa del guardiano; la casa di
Baladier.» Ma non ci eravamo mai spinti fin là. A volte sentivamo dire, come si
trattasse di una spedizione vera e propria: «È arrivato fino alla casa del guardiano!...»
Stavolta sono giunto fino alla casa di Baladier, e non ho trovato nulla.
La gamba malata e il caldo, che finallora non avevo sentito, cominciavano a
darmi noia; temevo già di dover fare tutto solo la strada del ritorno, quando udii poco
lontano il richiamo del signor Seurel, la voce di Moucheboeuf e poi altre voci che mi
chiamavano...
Era un gruppo di sei «grandi» in mezzo ai quali l unica faccia trionfante era
quella di Moucheboeuf, il traditore: Giraudat, Auberger, Delage e altri... Grazie al
«richiamo» rappresentato da Moucheboeuf, alcuni erano stati sorpresi su una pianta
di visciole in mezzo a una radura; altri mentre snidavano dei picchi verdi. Quel
balordaccio di Giraudat, dagli occhi gonfi e dalla giubba lurida, s era nascosto i
piccoli in petto, fra pelle e camicia. Altri due erano riusciti a battersela all avvicinarsi
del signor Seurel: probabilmente Delouche e il piccolo Coffin. Da principio quelli
avevano risposto canzonando «Mouchevache» fino a rintronarne il bosco, e allora lui,
indispettito, credendosi sicuro del fatto suo, aveva detto imprudentemente:
«Ormai, sapete, non vi resta che venir giù! C è qui il signor Seurel...»
Di colpo si era fatto un gran silenzio; poi i due avevano preso la fuga per i
boschi senza far rumore. E dato che conoscevano a menadito i luoghi, non c era
neanche da pensare di riacciuffarli. Neppure del gran Meaulnes si sapeva nulla;
nessuno aveva udito la sua voce: sicché si dovette abbandonare ogni ricerca.
A mezzogiorno passato riprendemmo la strada per Sant Agata, adagio, a testa
bassa, sfiancati e coperti di terriccio. All uscita dal bosco sulla strada asciutta, dopo
aver scosso il fango dalle scarpe, ci accorgemmo che il sole comincia va a picchiare.
Finito, il mattino primaverile, così limpido e fresco; già si sentivano i rumori del
pomeriggio. A tratti, un gallo cantava, canto desolato! Nelle fattorie deserte lungo la
strada. Dopo la discesa del Ciglione ci fermammo un momento a parlare con dei
contadini che avevano ripreso il lavoro dopo il pasto. Stavano appoggiati a una
staccionata e il signor Seurel spiegava loro:
«Ah, dei veri monelli! Per esempio, guardate Giraudat: s è ficcato gli uccellini
nella camicia e quelli gli hanno fatto dentro tutti i loro comodi. Bella pulizia!...»
Ma a me pareva che i contadini ridessero anche della mia disfatta. Ridevano
scuotendo la testa, ma senza dare poi tutti i torti a quei ragazzi che conoscevano bene.
Quando il signor Seurel riprese la guida della colonna, ci confidarono:
«È passato anche un altro, uno dei grandi, sapete... Tornando, deve aver
incontrato il carro dei Granai e si deve esser fatto prendere su. È smontato proprio
qui, dove comincia il viottolo per i Granai, tutto sporco e stracciato. Gli abbiamo
detto di avervi visto passare stamane ma che non eravate ancora tornati: e così ha
continuato adagio la strada verso Sant Agata.»
Difatti, il gran Meaulnes ci aspettava seduto sulla spalletta del ponte del
Ciglione, distrutto dalla fatica. Alle domande del signor Seurel rispose che anche lui
si era messo in caccia degli scolari fuggiaschi. Alla domanda che gli feci sottovoce,
replicò soltanto, con un cenno desolato del capo:
«Macché! Niente, niente del genere!»
Dopo pranzo, si sedette a uno dei tavolini, nell aula chiusa, spazio cavo e buio
dentro il paese solare, e dormì a lungo con la testa appoggiata sul braccio, un sonno
tetro e pesante. A sera, dopo aver riflettuto per un po , come per prendere una
decisione importante, si mise a scrivere alla madre. È tutto quanto mi ricordo di
quella fine malinconica di una giornata di sconfitta.
10 - Il bucato
Troppo presto avevamo salutato la venuta della primavera. Lunedì pomeriggio
ci venne voglia di fare i compiti subito dopo le quattro, come d estate, e per vederci
meglio portammo due tavoloni nel cortile. Ma il tempo si oscurò quasi subito; cadde
un gocciolone sul quaderno; così rientrammo in fretta. Nella grande sala buia,
guardavamo senza parlare attraverso le ampie finestre la fuga disordinata delle
nuvole.
Allora Meaulnes, anche lui con gli occhi al cielo, la mano sulla maniglia della
finestra, si lasciò andare a dire, quasi irritato per il rimpianto che lo rodeva:
"Ah, correvano in ben altro modo le nuvole quando io ero in strada con la
carretta della Buona Stella."
"Che strada?" chiese Gelsomino.
Meaulnes non rispose.
"A me," dissi per deviare il discorso, "sarebbe piaciuto moltissimo viaggiare in
carretta con un tempo simile, sotto la pioggia, al riparo di un bell ombrellone."
"E magari leggere per tutta la strada, come se fossi in una stanza, "aggiunse un
altro.
"Non pioveva e io non avevo voglia di leggere," rispose Meaulnes, "non
pensavo che a guardare i posti."
Ma quando Giraudat, a sua volta, chiese che posti fossero, Meaulnes si azzittì
un altra volta. E Gelsomino:
"So, so... Sempre la famosa avventura!..."
Aveva parlato con un tono conciliante e autorevole, come se anche lui fosse a
parte del segreto. Fatica sprecata; i suoi assaggi finirono nel vuoto; si faceva notte e
tutti se ne andarono di corsa sotto l acquazzone, la blusa tirata sul capo.
Fino al giovedì seguente continuò a piovere. E fu un giovedì ancora più triste
di quello che lo aveva preceduto. Tutta la campagna bagnava in una specie di bruma
gelida come nel peggio dell inverno.
Millie, tratta in inganno dal sole della settimana prima, aveva fatto il bucato ma
non c era neanche da pensare di metterlo ad asciugare sulle siepi del giardino o sulle
corde del granaio, tanto l aria era fredda e umida.
Discutendone con il signor Seurel le venne l idea di stendere il bucato in aula
(era giovedì) e di fare andare al massimo la stufa. Per risparmiare il fuoco in cucina e
nella sala, il pranzo sarebbe stato preparato sulla stufa e noi avremmo passato tutta la
giornata nella grande aula.
Dapprima  ero tanto giovane ancora  questa novità mi parve una festa.
Triste festa!... Il bucato si prendeva tutto il calore della stufa e in aula faceva un
gran freddo. In cortile, cadeva senza interruzione una fiacca pioggerella invernale.
Eppure proprio lì, fin dalle nove del mattino, ritrovai il gran Meaulnes, divorato dalla
noia. Il capo appoggiato alle sbarre del grande cancello, senza una parola,
guardavamo in cima al paese, al arocicchio, il corteo di un funerale che veniva dalla
campagna. La bara fu scaricata dalla carretta tirata dai buoi e posata su una pietra
sotto la grande croce dove qualche tempo prima il macellaio aveva sorpreso le
sentinelle dello zingaro. Dov era adesso il giovane capitano che conduceva così bene
l attacco?... Il prete e i cantori si disposero come d uso davanti alla bara e il triste
salmodiare arrivava fino a noi. Quello sarebbe stato, lo sapevamo, l unico spettacolo
di una giornata destinata a scolare via come un rivolo d acqua giallastra in un canale. [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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