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Giovanni Boccaccio - Comedia delle ninfe fiorentine
te e forse più vaga, nelli suoi luoghi, cantando un giova-
ne graziosi versi a miei orecchi, m apparve la santa Ve-
nere, de suoi cieli discendente in forma quale al reve-
rente Anchise, fuggente gli sconci incendii de suoi tetti,
nel tempo notturno infra le tenebre si mostrò la chiara
luce dell avolo suo. Alla quale il tiepido cuore s aperse
nel primo sguardo; e quella, con le sue fiamme entratavi
subito, vi rimase, me di costumi, d abito e di modi in
parte cambiando. E tanta fu di Diana ver me la benivo-
lenzia ferma che già per questo non mi negò la sua com-
pagnia, ma parve che io nella sua grazia crescessi.
Duranti adunque i nuovi fuochi della santa dea nel
petto mio, avvenne un giorno che, per questi prati solet-
ta passando con l arco e con le mie saette, mi vennero al-
zati gli occhi: e in aere, non sanza molta ammirazione,
dinanzi ad essi vidi uno ardente carro tirato da due dra-
goni, tale a riguardare qual forse quello di Medea fug-
gente Teseo fu potuto vedere. Nel quale una giovane
donna, nello aspetto altiera e di fuoco così come il carro
lucente, armata di bellissime arme, con uno cappello
d acciaio con alta cresta e con iscudo, vidi reggente
quello, e così veloce corrente per l aere quali le saette
turchie pinte da forte nervo, sogliono sanza alcuna com-
parazione volare. A lato alla quale uno spirito bellissi-
mo, del suo fuoco accendentesi tutto, vidi sedere; e con
lei più volte tentata l entrata degli alti cieli, non conce-
duta loro, per l aria vagabundi in voce altiera faccendola
risonare, andavano questi versi cantando:
[XXII]
Quantunque il capo oppresso di Tifeo,
Etna mostrante le sue ire accese,
sbrigasse sé giungendo a Lilibeo,
e Pachino e Peloro le distese
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braccia, e Appennin le gambe, tale 5
ched e sorgesse a far le sue difese,
alla nostra non fora mai equale
la sua potenza, quanto che si dica
che molta fosse già in ovrar male;
né quella della gente che nemica, 10
i monti l un dell altro caricando,
infin al ciel di que faccendo bica,
s appressarono a Giove minacciando
per torli il regno, e  n Flegra poi sconfitti
da lui ch ancor li spaventa tonando; 15
né qualunque altri mai furon trafitti
da tel celestiale: adunque presto
ci s apra il cielo a cui saglian diritti.
Se chi vi sta nostro valor molesto
non vuol sentire, e forse a luoghi bassi 20
andare ad abitar, lasciando questo,
in quello entrati, saran da noi cassi
l iddii reggenti, o per grazia ad alcuno
simile scanno a noi forse darassi.
E se resister volesse nessuno, 25
cacciandol quindi, il faremo abitare
misero con Pluton nel regno bruno.
Nostra virtù sopra le stelle pare,
nobiltà non ha luogo ove ricchezza
i suo difetti puote ristorare. 30
La vigorosa e bella giovanezza
che posseggian ne fa vie più sicuri,
e d animo e di cuor ne dà fermezza.
Qua torri eccelse o qua merlati muri
ci negherien l entrare in ogni loco 35
ove piacesse a noi, per esser duri?
Dunque col carro su del nostro foco
tirati da dragon ce ne montiamo,
già siam vicini a lui, già distian poco.
Se c è forse negato che v intriamo, 40
Letteratura italiana Einaudi 59
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come Feton l accese altra fiata,
e così noi la seconda l ardiamo
con chi dentro vi sta, sì che l enfiata
ira di noi dimostrian con effetto
a chi contrario è suto a nostra entrata: 45
e così si punisca il lor difetto.
[XXIII]
Li quali poi che tutti gli ebbi con ritenente memoria
compresi, bassati gli occhi, già più non potendoli rimira-
re, riguardai i verdi prati, e in essi, quale Elena sopra il
morto Paride fu potuta vedere, m apparve Venere. Ella,
sedendo sopra le verdi erbette, teneva con la destra ma-
no le lente redine d un cavallo lì dimorante, e con la sini-
stra uno scudo e una lancia. E quasi piangendo, se pian-
gere avessono potuto i divini occhi, pareva; e uno
giovane, tutto di bellissime arme armato, guardava da-
vanti a sé, il quale a me pareva giacente sanza anima. Io,
prima presa non poca d ammirazione, più ne presi que-
sto veggendo. Ma, secondo il debito costume poste le gi-
nocchia sopra la verde erba, con queste voci reverita pri-
ma la santa dea, la domandai:
«O santissima deità, madre de piacevoli amori, ac-
quistino le voci della tua serva merito d essere udite nel
tuo cospetto, e a quelle con la divina bocca, se degna ne
sono, rispondi. E se è lecito che a miei orecchi perven-
ga, dicendolo tu, non mi si nieghi la cagione del tuo do-
lore, il quale, nel viso divino mostrando li suoi vestigi,
occupa non poco la sua chiarezza, e chi costui sia il qua-
le qui morto guardi, come mi pare».
Alle quali parole così con angelica voce rispose:
«Piacevole giovane, costui che tu qui vedi, dalla sua
madre a me nella sua infanzia lasciato, ho io ne miei es-
sercizii nutricato gran tempo, infino che a questa età,
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Giovanni Boccaccio - Comedia delle ninfe fiorentine
che nel suo viso coperto di folta barba discernere puoi,
co miei fomenti l ho sanza fatica recato; e ne miei esser-
cizii li avea armi donate e cavallo, e cintolo di milizia a
me graziosa, come tu vedi. E ora che le sue lunghe fati-
che erano a meriti più vicine, alcuna deità operante, tol-
tosi a me, il suo spirito vagabundo per l aire, come hai
veduto, ne va con colei che più m offende, ond io quella
noia in me ne sostengo che cape nel divino petto. Ma
perciò che, quello che uno iddio dispone, l altro nol tor-
na adietro, com io posso il soffero mal contenta».
Le sante voci, udite da me con animo attento, mi fe-
cero pietosa, e dissi:
«O santa dea, dà luogo all ira e tempera le tue noie,
alle quali tempo non si può torre: elle, ora che più aiuto
che altro bisogna, non ci hanno luogo. Io con umana
mano, quando ti piaccia, tenterò di fare quello che le di-
vine costituzioni a sé non permettono, e forse il tuo ar-
migero ti renderò sano e con intero dovere disposto a
tuoi servigii».
E questo detto, ritenente l arco e gli strali nell una
delle mie mani, appressantemi al già freddo corpo, e il [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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